MORTE DEL GIORNALISMO

E’ ora che si ragioni su un argomento essenziale della attualità politica e sociale: La fotografia di reportage è stata assassinata. Basta pensare a che importanza ha avuto la fotografia di reportage per muovere le coscenze e contribuire ad imporre pace e giustizia. Pensiamo alla famosissima immagine di Huynh Cong “Nick” Ut con la ragazza che scappa dal Napalm durante un bombardamento americano. “Ricordo che stavo guardando attraverso la mia Leica quando il bambino è morto. Mentre stavo scattando, ho visto nell’angolo del mirino una ragazza, che correva con le braccia tese verso i lati. Ho pensato: “Oh mio Dio” e ho iniziato a correre da lei e ho scattato a tutte le mie foto.» Dicono che l’impatto sull’opinione pubblica ferita e indignata per quell’immagine, abbia avuto un peso consistente per mettere pressione affinchè andassero a buon fine gli accordi di pace di Parigi firmati a Parigi il 27 gennaio 1973, per porre fine all’intervento americano in Vietnam.

Da allora il progressivo depotenziamento della fotografia come strumento di denuncia ha fatto passi da gigante. La rivoluzione digitale ha imposto gravi interrogativi sulla possibilità di manipolare i fotogrammi. Ricordo la polemica su una foto che vinse il word press anni fa. Lo ricordo bene perchè ero al tempo, e sono ancora oggi, uno dei fotografi italiani dell’agenzia Getty e in seguito a quelle polemiche l’agenzia ci tolse la possibilità di fare editing sulle immagini a noi commissionate. Per noi fu un colpo terribile perchè, se da un lato sono d’accordo a non usare i software per cambiare la fisonomia dei soggetti o delle composizioni, l’editing è tecnicamente una parte essenziale del prodotto fotografico nell’era del digitale.

Si fotografa due volte: la prima immagine avviene sul campo ma il suo perfezionamento si raggiunge appunto con l’editing.

Ma torniamo a quella foto che vinse il World Press Photo mi sembra nel 2013. Ebbene è originale. Lo conferma il Wpf stesso che in un comunicato online diffonde i risultati di un’indagine affidata a due esperti di informatica. La foto vincitrice aveva subìto molte contestazioni: l’autore dello scatto, il fotografo svedese Paul Hansen, era stato accusato di aver manipolato l’immagine.

Nell’immagine vincitrice del World Press Photo Contest erano ritratti palestinesi che portavano in braccio i corpi senza vita di due bimbi uccisi durante bombardamenti israeliani nel novembre del 2012. Le accuse erano state fatte da Neal Krawetz, un esperto di informatica forence, che sul blog Hacker Factor aveva pubblicato un articolo dal titolo “Hansen’s picture is a composite”. Il Wpf aveva subito avviato delle verifiche sulla autenticità e sulla possibile manipolazione della foto al fine di “eliminare ogni speculazione sull’integrità di immagine”. Hansen prima dell’analisi della foto, ha descritto nei dettagli come ha lavorato l’immagine e anche durante l’esame da parte degli esperti ha collaborato dando informazioni. Secondo le conclusioni degli esperti, “è chiaro che la foto ha subito modifiche per quanto riguarda il colore e il tono, ma al di là di questo non è emersa alcuna prova significativa di una manipolazione. L’analisi che prevede una manipolazione fotografica è profondamente sbagliata”.

Ora questa è la verità dimostrata ma quanti hanno seguito gli sviluppi e l’approfondimento che ha portato a scagionare il fotografo e la sua immagine ? Quasi nessuno. Come tante notizie anche questa è entrata nel calderone di chi lavora da anni per la delegittimazzione della fotografia.

Di questo argomento parleremo ancora, convinti come siamo, che il potere, le lobby trionfanti in questo drammatico momento storico lavorino costantemente per togliere alla verità e alla democrazia le armi della denuncia.

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