Election Day 2022

La sveglia delle 6 suona ripetuta e monotona. Io cerco di infilarla nel mio sogno bellissimo: C’era una grande festa nelle strade di una città che assomiglia più a New York che a Milano. Piena di gente che balla e si abbraccia. Il Covid è scomparso, la guerra non si farà. Mi unisco a loro ma nella mia tasca suona e si illumina il cellulare con la sua suoneria monotona. Mi sveglia portandomi via dal sogno. Lo maledico e cerco di ricordarmi perché suoni, per quale motivo io abbia impostato una sveglia. La nebbia si squarcia e si affaccia la realtà: E’ domenica e oggi ci sono le elezioni. La sveglia mi impone di cominciare il mio viaggio nell’Italia che vota. Mi scuoto, lo voglio raccontare questo maledetto voto. Per la prima volta da quando ho l’età della ragione il mio paese potrebbe scegliere di mandare la destra al potere. Tutti i sondaggi concordano nell’assegnare a Giorgia Meloni, leader di un partito di orgogliosa derivazione fascista, una vittoria netta e schiacciante. Un incubo.

Alle 7 sono al mio seggio appena aperto. Conosco tutti e loro conoscono me. Gli scrutatori e il presidente di seggio stanno cercando di capire le nuove regole. Le novità superburocratiche introdotte a complicare e rallentare le operazioni di voto perfezionano un sistema elettorale assurdo e ingiusto. Rosatellum lo chiamano, dal nome di quel povero Rosati che lo ha pensato e proposto. Poveretto lui, senatore renziano chiamato a confezionare un giochino assurdo fatto di liste bloccate uninominali a vincitore unico, una specie di asso pigliatutto che assegna a chi ottiene più voti l’intera circoscrizione.

La prima tappa del mio viaggio sarà Domodossola. La scelgo come simbolo. Città fondamentale per la Resistenza, sede del governo dei quaranta giorni che nell’estate del ‘44 accese le speranze dell’insurrezione e si fece protagonista della redazione della più bella e avanzata costituzione che mai venne scritta. Piazza del Mercato è vuota e bellissima con i suoi edifici dai colori pastello e i tetti neri d’ardesia.

Due uomini parlano tra loro all’uscita del bar deserto. Giacomo e Riccardo. Riccardo è il più scettico e sfiduciato: dice che sono tutti uguali, non si aspetta cambiamenti. “Si saranno già messi d’accordo per dividersi le poltrone”, dice. Giacomo no, ci tiene a chiarire di non essere d’accordo con l’amico. Ho la sensazione che continuino con me quello di cui stavano già discutendo tra di loro. “E’ uno scontro tra due gruppi che polarizzeranno il voto, la destra che rappresenta meglio gli istinti attuali degli Italiani e il centro sinistra che non è stato nemmeno capace di presentarsi unito. Il partito che vincerà saranno gli astensionisti. Io che ho fatto il negoziante, proprio qui in Piazza, per tutta la vita sento la gente che dice di non sapere chi votare. La rivoluzione la muove la fame. Finché mangiamo, chissenefrega se va su quella di destra o quegli altri. Vedrai come cambiano le cose quando non avremo più questa sicurezza e questa tranquillità, magari senza avere la possibilità di scaldarci di inverno o roba del genere. I negozi come il mio chiuderanno e rimarranno i debiti.” Riccardo trova scandaloso che la gente prenda i soldi senza lavorare: “Altro che reddito di cittadinanza. Chi glieli dà quei soldi lì se non la gente onesta che lavora. Vincerà quella là, è scritto nei sondaggi, ma quasi quasi se fossi in lei sarei preoccupato. Qui la faccenda è grossa è tutto un problema internazionale, può crollare tutto. Come si fa ad arrivare al duemilaeventidue e ancora fare la guerra? Ma prendete un bel tavolo e mettetevi d’accordo. L’ho sempre pensato anche per i Palestinesi e gli Israeliani. Cosa ci guadagnano a continuare così da più di mezzo secolo. La verità che il più stupido degli animali è proprio l’uomo!” Ci salutiamo.

Ora la cittadina si è svegliata. Cammino sotto i portici. Mi piace sentire i mezzi discorsi. Le frasi spezzettate che riesco a catturare da una finestra aperta, dai tavolini del bar, dal negoziante che apre il suo negozio. La giornata particolare è molto presente nei discorsi della gente. Colgo un “stavolta bisogna proprio andare”, tra una madre e un figlio, mi immagino. Chi lo sa a chi si riferisce? A lei stessa o al ragazzino che comunque mi sembra troppo giovane per aver già votato in precedenza. Mi viene in mente che per la prima volta i diciottenni votano anche per il senato. Una vecchietta dice al negoziante: “Io stavolta voterei quella ragazzina con le trecce, come si chiama, ah sì, la Greta”.

Ilaria ha 22 anni, nata a Domodossola da mamma calabrese e padre nato qui. Studia beni culturali a Milano, ma vorrebbe lavorare sul territorio una volta finiti gli studi. Mi parla dei suoi coetanei: dice che moltissimi non si sentono rappresentati e mettono in discussione il voto come modalità di partecipazione. “Non c’è ricambio non c’è differenza tra il polo di destra e quello di sinistra, non vedono le elezioni come momento in cui farsi sentire. Viviamo tutti le nostre paure singolarmente, quasi vergognandoci. Abbiamo paura che questa destra tolga i diritti acquisiti, ma abbiamo anche visto che il centrosinistra è stato incapace di estenderli e trasformare il nostro paese in uno davvero moderno ed europeo. La mia seconda paura è la dispersione scolastica. In alcune province non ci sono le stesse opportunità per le classi sociali più svantaggiate. Molti non vanno a votare perché si sentono fuori dal gioco e questo lascia spazio ai populisti. Anche i problemi più sentiti come l’ecologia e la pace vengono trattati dai partiti in modo marginale. Ne fanno cenno nei loro programmi perché sentono di doverlo fare, ma non si tratta di vere convinzioni a cambiare, sembra di nuovo opportunismo. E’ green washing e anche LGBT washing. Per quanto riguarda a guerra, gli insegnamenti dei grandi maestri come Gino Strada non si ritrovano nelle pratiche di governo. Rimangono parole perché al momento opportuno ci si arrende davanti ad interessi superiori, calpestando i principi e anche la nostra Costituzione.”

Ilaria mi accompagna nella mia passeggiata. La chiesa è ancora piena e due amiche si godono il sole su una panchina in piazza: Maria Adele ed Enrica, appena uscite dalla messa. “Sono elezioni molto complesse”, Maria Adele le considera un momento importante. “Sono molto preoccupata. La parte politica che ho sempre appoggiato e che mi è più vicina non mi convince. Si sente la mancanza di leader e soprattutto di idee. Cosa che non manca alla parte avversa che, appunto, mi spaventa molto, sia per la politica interna sia nei rapporti internazionali. Vado a votare con molta tristezza, e lo dice una che si ricorda ancora il primo voto a diciotto anni. Nel corso del tempo però, ho sempre trovato meno sintonia rispetto all’offerta politica e via via ho perso l’entusiasmo. Faccio fatica, ma voto, e invito quelli che conosco a fare altrettanto”. Enrica dice cose simili. “Se il ‘centro sinistra’ si fosse presentato unito ci sarebbero più speranze: bisogna essere concreti e rinunciare al proprio orticello, mettendo da parte interessi particolari nel nome del bene comune. Questo non lo hanno saputo o voluto fare e ore ci troviamo in questa situazione”. Ci salutiamo e loro si ripromettono di restare in contatto.

Poco distante dalla chiesa un seggio elettorale mi sembra abbastanza frequentato. Chiedo di entrare ma non ottengo il permesso, non insisto. Vicino a me c’è una signora elegante, si chiama Kellen, e mi rivolgo a lei chiedendole se avverte delle differenze rispetto alle passate votazioni. Mi comunica la sua tranquillità dice di avere deciso da molto tempo il suo voto e non c’è, secondo lei, nessun motivo per drammatizzare una situazione che giudica normale, frutto dell’alternanza e del fatto che da troppo tempo si evita il confronto elettorale. Chi invece avverte una enorme differenza è la signora Assunta, elegantissima anziana molto in gamba e, mi sembra, molto motivata. “Certo che è un momento importante, ora si cambia. Non mi piace che si diano dei soldi ai giovani per niente, per non lavorare. Lo chiamano reddito di cittadinanza, ma è un premio per chi non fa niente”. Le chiedo se ha capito bene come funziona il sistema elettorale. Per tutta risposta Assunta mi dice che il Presidente della Repubblica per primo non è stato mai votato ed eletto. Provo a spiegare che è stato eletto, come prevede la Costituzione, dai due rami del parlamento e da alcuni rappresentanti regionali. Mi fa capire che è troppo macchinoso e politichese e che comunque lei non è stata chiamata a votarlo.

Devo correre a Verbania, senza traffico dovrei metterci una quarantina di minuti.

Mentre guido penso alla vecchia Intra che, insieme a Pallanza e Suno, oggi è capoluogo di provincia. Me la ricordo città operaia sede della Rhodiatoce e della Rumianca. Un grande polo della chimica italiana. Mi ricordo, ai tempi della contestazione studentesca, vedevo spesso arrivare il corteo combattivo del Movimento di Intra. Ero molto orgoglioso perché, con la mia famiglia e una marea di cugini, si passavano lunghe estati a Ghiffa e con le nostre rumorose motociclette tutte le sere invadevamo Intra e le sue osterie.

Come è cambiata Intra con la globalizzazione! Ora la vedo in crisi di identità, un po’ in cerca di se stessa, tra la tradizione e una nuova rinnovata vocazione turistica.

Ho chiesto un appuntamento al mitico presidente onorario dell’Anpi Arialdo Catenazzi che mi aspetta in sede con Flavio Maglio per parlare di queste elezioni viste con la memoria partigiana. Non ci gira troppo attorno, Arialdo, nell’esprimere la sua preoccupazione: “Se dovesse vincere questa destra vuol dire tornare al passato. Lo stemma della fiamma, cui non vogliono rinunciare, ha un significato ben preciso di continuità con il vecchio Movimento Sociale. L’Italia antifascista questo lo sa bene e con lo strumento del voto cercherà di arginare questo pericolo. Purtroppo però ci siamo fatti trovare frammentati a questo appuntamento con la storia. Forse conta anche l’inesperienza dei leader delle formazioni politiche che dovrebbero costituire un’unica coalizione.

Sappiamo che moltissimi elettori non vanno a votare. Manca la fiducia. I giovani vedono che devono andare all’estero per lavorare: si allontana a dismisura l’età pensionabile, impedendo il ricambio generazionale. Lo stato sperpera milioni di euro per armamenti, denaro che sarebbe servito per risollevare la nostra economia già provata dalla crisi e dalla pandemia”. “Pace, ambiente e lavoro ecco le priorità“ interviene Flavio segretario dell’ANPI di Verbania “e non trascuriamo neppure l’influenza negativa che vent’anni di Fininvest hanno lasciato nelle menti delle persone. Certo che voterò nel modo più unitario possibile, ma di sicuro non sono contento di questa sinistra. Spesso sento prendere in giro la ragazzina dell’ambiente, ma la ragione sta dalla parte di Greta e se non ci svegliamo non potremo avere credibilità nella lotta epocale che dobbiamo combattere per salvare il pianeta.”

Ci abbracciamo, non so perché mi viene in mente la strofa della canzone ”teniamoci per mano in questi giorni tristi..” Mi scuoto dalla deriva pessimista e corro da Lidia che abita in una frazione di Verbania che si chiama Unchio.

“La mia più grande angoscia è la questione ambientale. Mi sento in ritardo nella corsa per raggiungere gli obiettivi prefissati. Anche in base a quanto sto studiando mi rendo conto dell’enorme lavoro che c’è da fare e questo mi spaventa molto. Vedo tanta rabbia in giro forse dettata da stanchezza da parte di molti, ma anche da assenza di diritti. Io suono il fagotto, ho cominciato a 12 anni a suonare nella banda. Ho passato nove anni in Germania. Sono partita quando avevo 22 anni, per diventare una musicista orchestrale, professionale e quel paese mi offriva più possibilità. Sempre la musica mi ha portato in Danimarca con l’Erasmus. E’ stato il Covid che mi ha riportato indietro, credevo per poco, ma poi tutto si è complicato e sono rimasta qui cambiando tutta la mia visione: mi sono rimessa a studiare chimica dando un seguito alla mia formazione universitaria. Tornando in Italia ho trovato un po’ più di pessimismo, molta delusione, molti che fanno fatica e che non hanno altro oltre il lavoro. Non coltivano più gli interessi e le passioni che avevano. In Italia i salari non sono adeguati, vedo persone che fanno 40 ore alla settimana e devono fare un doppio lavoro, vedo tanto sfruttamento, il ricatto del lavoro intellettuale preteso gratuitamente in nome del fare esperienza. In Germania tutto questo non c’è, è davvero molto diverso. La mia generazione non si è coinvolta in grosse lotte, forse schiacciata dall’esperienza della generazione precedente, si dava per scontato che nulla potesse cambiare. Mancano i centri di aggregazione e di confronto, è tutto molto individuale e frammentato: un telefono, un computer, aggiungi il Covid, spero si riesca a ricreare a ricucire un tessuto sociale molto sfibrato. Ho la sensazione che quando si prova a confrontarsi, si facciano tanti monologhi e che le persone che ascoltano siano rare. Ti trovi sempre a parlare con coloro che la pensano come te e alla fine ti chiedi cosa serva.” Guardo l’orologio, accidenti devo correre a Milano, il mio racconto ha bisogno della grande città.

Forse influenzato dai racconti di  Lidia sull’ impegno nello studiare musica, mi viene voglia di incontrare il mio amico Claudio Fasoli, grande musicista nel panorama Jazz italiano ed internazionale.

Lo chiamo al telefono e gli chiedo un appuntamento nel luogo simbolo della nuova Milano. Ho bisogno del parere di chi, viaggiando, ha un rapporto continuo con un pensiero europeo distaccato dalle stupide beghe locali e forse più completo e globale.

“Ho parlato ultimamente a Londra con un mio amico polacco: mi faceva notare che la situazione che riscontriamo in Italia è purtroppo universale. Pare impossibile, ma si sta riproducendo una situazione analoga a quella del ‘39. Speriamo che non si arrivi a tanto e che i potenti del mondo non si sentano autorizzati a considerare la guerra come evento possibile. Meglio non pensarci neppure perché non si salverebbe nessuno. Del resto, da quando l’Homo Sapiens ha vinto sull’uomo di Neanderthal, era chiaro che il pezzo di terra non si sarebbe condiviso ma, piuttosto, conteso al vicino. E siamo ancora lì. Ma veniamo all’oggi, all’attualità. Io penso che chiunque vinca queste elezioni debba cercare di guardare avanti, di non arroccarsi in scelte medievali come negli Stati Uniti dove la Corte Suprema ha cancellato, dopo trent’anni, il diritto delle donne ad abortire. Vedo le forze progressiste divise. Hanno affrontato la campagna elettorale in un modo tragicomico. Penso a Calenda che ha firmato un impegno comune per poi disdirlo il giorno successivo.

Stiamo assistendo a capriole incredibili. In Italia hanno molto successo i comici. Uno è stato il nostro presidente del Consiglio per quasi vent’anni, per poi proporsi addirittura come capo dello Stato. Stiamo parlando di un pregiudicato che non dovrebbe avere credibilità in un paese civile. Grillo che ha fondato i Cinque Stelle è un altro comico, con un suo pubblico che l’ha seguito. Il movimento ha prodotto un leader, Giuseppe Conte, che quando è stato presidente del consiglio si è distinto per saggezza e per equilibrio nel momento del panico da Covid, e ha portato calma e autorevolezza. Ma da quando ha deposto quella veste ed è diventato capo politico ha veramente perso le staffe. Non ho capito come e perché si sia modificato il suo atteggiamento. Sembrava persona civilissima, che a Bruxelles ha ottenuto fiducia e i finanziamenti per il DPRR, ma ultimamente ha detto cose molto pesanti nei confronti dei partner di governo, che mi sembrano difficilmente ricucibili. Speriamo solo che una eventuale sconfitta del campo progressista sia un po’ come un temporale, una scossa che faccia cambiare atteggiamento. La politica è soprattutto mediazione, se si persegue un progresso comune. Domani vedremo. Comunque sia, con più o meno allegria e ottimismo, tu continuerai a fare fotografia e io musica, anche se forse entrambi con tanta angoscia.

Radio Popolare sarà molto importante per ospitare e stimolare il dibattito per una rinascita democratica.

paolo camillo sacchi 2022

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