per[X]formance

Ottobre è mese di performance e di sintesi dell’esperienza di questa edizione delle residenze d’artista. Infatti i vincitori di CROSS Award 2018 mostrano i loro progetti, e quest’anno la sede scelta come luogo delle residenze e laboratorio creativo  sono stati gli spazi lasciati dalla pittrice Elide Ceretti alla comunità di Verbania e appena restaurati, a 11 anni dalla scomparsa dell’artista: in questo modo, secondo la sua volontà, il luogo continua a essere un complice incubatore d’arte.

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«Black hole» di Shamel Pitts

Oltre 200 candidature da 12 Paesi – europei ma anche da Brasile, Egitto, India, Indonesia – hanno scaturito i tre progetti finalisti che sono «Black hole» di Shamel Pitts (danza, Usa), «D.a.k.i.n.i. Studio I» di AjaRiot (performance, Italia) e «Aspra» di Phoebe Zeitgest e The Verge of ruin (teatro più musica, Italia, quest’ultimo ospitato al Teatro Maggiore).

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I tutor di questa edizione sono stati Raphael Bianco (EgriBiancoDanza), Margherita Palli (scenografa, della Naba, Nuova accademia belle arti di Milano), Italo Rota (architetto), Guido Tattoni (sound designer, Naba), Massimo Torrigiani (direttore creativo Triennale Teatro dell’arte) e Driant Zeneli (artista visivo), ai quali si affianca la giuria locale formata da appassionati e amanti della cultura scelti sul territorio.

Dopo questa doverosa premessa, che ci aiuta a contestualizzare l’esperienza, vorrei proporre un paio di riflessioni, le solite cose che mi girano nella testa quando lavoro.

Confesso che ho avuto da sempre qualche problema nel fotografare gli spettacoli teatrali e musicali: le luci non sono mai quelle che voglio io, la scena spesso non è essenziale e curata come vorrei, ti sembra di “documentare” più che di “interpretare”.

Questa volta, invece, tutto mi è sembrato  più facile e naturale e mi chiedo il perchè. Può darsi che la tecnologia aiuti e che oggi sia più facile immergersi nell’atmosfera e nel racconto della performance. La fotocamera che uso in questi casi, la Fuji st-20, è leggerissima, non produce alcun rumore allo scatto e l’ho dotata di tre ottiche super luminose. Il suo sensore si trova bene a lavorare con sensibilità che un tempo mi avrebbero fatto rabbrividire. Il suo formato Raw è mio complice nel compensare le luci in postproduzione.

Non è poco per lasciarsi andare al racconto. Forse, però, c’è qualcosa d’altro. La performance è per sua natura una storia davvero personale in cui le scelte e di rappresentazione e di regia attengono al racconto dell’artista in modo totale, senza mediazioni.

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D.A.K.I.N.I. Studio I
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D.A.K.I.N.I. Studio I

Il fotografo è chiamato, nella migliore delle ipotesi, a capire più che a condividere. Questa posizione ti mette subito al riparo da malumori e dall’istinto di dissentire o di tirare la coperta dalla tua parte. Si tratta solo di vedere se sei in grado, oppure no, di raccontare, di trasmettere qualche cosa che era nella performance. Accettando tutte le sfide del caso. E’ un po’ come ascoltare prima di parlare, e poi dire la tua, se sei capace.

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Aspra di Phoebe Zeitgest e The Verge of ruin
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«Black hole» di Shamel Pitts
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Aspra di Phoebe Zeitgest e The Verge of ruin

La performance è una fonte di ispirazione e di stimolo per chiunque lavori in campi artistici e comunicativi. Ti colpisce, ti stordisce, e lascia spazio alla tua elaborazione, sempre. Non è mai una tesi prefabbricata, ma semmai è uno stimolo, una parentesi che si apre e che dovrai essere tu a chiudere.

Black Hole 3
«Black hole» di Shamel Pitts

Vi ho già parlato in altri post delle esperienze vissute insieme a Cross, anche dal punto di vista tecnico della ripresa fotografia.

Altre immagini e impressioni si trovano nel post che riguarda un’altra bella esperienza performativa e il suo racconto. Anche se in quell’occasione ero pieno di tristezza perchè al Parco Sempione di Milano mi avevano rubato la borsa con tutti i miei obiettivi…

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