Claudio Fasoli è un amico di famiglia (ho ereditato la sua amicizia da mio padre Dado, vitale novantaseienne) e uno dei più raffinati jazzisti italiani. Negli anni Settanta faceva parte del gruppo del Perigeo che, insieme agli Area, aveva creato il fenomeno del jazz-rock italiano. Fasoli ha collaborato tra gli altri con Lee Konitz, Mick Goodrick, Manfred Schoof, Kenny Wheeler, Mario Brunello e Giorgio Gaslini.
Ne avevo già parlato qui, in occasione di un ritratto che gli avevo fatto per un suo lavoro.
Oggi abbiamo assistito al cinema Anteo a un delizioso piccolo film che parla di lui e del suo processo creativo. Un documentario, rigidamente e jazzisticamente in bianco e nero, realizzato dal regista Angelo Poli e da un’ottima équipe di filmmaker.

Il film è intitolato Innersounds, come il libro che Claudio aveva recentemente scritto e che rappresenta perfettamente la sua metodologia di composizione musicale. Dopo aver studiato, assorbito e incamerato note, suoni, vita, Claudio ricava da dentro di sé, e quindi elabora, la sua musica.
Claudio è certamente un bravissimo sassofonista, ma oggi mi ha colpito la pulizia di questo film su di lui, ineccepibile per struttura, inquadrature e luci, con un biancoenero elegante e ricco. Un plauso ad Angelo Poli, regista di sovente scelto dalla pubblicità, ma direttore di documentari eleganti e sofisticati spesso dedicati allo sport e alla passione, anche per come è riuscito a far raccontare Claudio di sè, che è un grande musicista, ma non è certo un attore. Alcuni ricorderanno i tempi d’oro di MTV dove Angelo ha firmato lavori che ne hanno messo in evidenza lo stile e la competenza anche in ambito musicale.
Il film è rigoroso e libero, esattamente come la musica che Claudio compone alla ricerca di quella fantasia espressiva che lo guida e che così bene ci ha raccontato nel prezioso dibattito che ha seguito la proiezione, insieme al regista e a Luca Conti, direttore della rivista Musica Jazz che ha premiato Fasoli come miglior musicista dell’anno.

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