(s)PROFESSIONE

Esiste ancora la nostra professione? Prendo il coraggio di fare questa domanda, anche se so che provocherà molte reazioni e, comunque, ben venga il dibattito. Ne parliamo da tempo nel segreto dei nostri studi, ce lo chiedono i giovani innamorati di questa maledetta fotografia, come lo siamo stati noi e forse di più. Innamorati, ma non corrisposti. Respinti da un mercato che non si riesce a definire, nè con i vecchi schemi e, purtroppo, nemmeno con le nuove intuizioni che spesso mi sembrano magheggi più identificabili con le favole metropolitane che con possibili profili economici. Ma andiamo con ordine. Quando ho cominciato io la strada era chiara e tracciata: fai l’assistente, impari quanto riesci, poi chiedi un piccolo prestito ad amici e fratelli e apri un piccolo studio. Un bel portfolio stampato bene e via nelle agenzie della città a bussare alle porte, a chiedere una opportunità. Certo, eravamo tanti e una certa selezione era naturale, ma il lavoro era concreto, tangibile.  Talvolta addirittura troppo e allora ce lo passavamo. Giovani ed inesperti ci fingevamo navigati e sicuri, non so quanto efficacemente. Potevamo contare sui nostri punti di riferimento: i fotografi più grandi di noi, sempre disposti a concederci udienza e aiuto e, talvolta, a prestarci attrezzatura. Ecco appunto l’attrezzatura: esistevano supermercati di attrezzatura fotografica dove i commessi ti ascoltavano e consigliavano, ti facevano provare fotocamere e luci. Insomma non eri solo. Le associazioni di categoria erano presenti e ci assistevano guidandoci nel definire i prezzi e i segreti dei diritti d’autore e delle royalties: Afip, Cna, Fiaf erano le più attive. Il copione prevederebbe ora di fare la stessa istantanea al giovane fotografio di oggi. Ma non mi riesce nemmeno di scriverla. Lo studio non è più una aspirazione. I grandi maestri non si vedono più sui magazine che, del resto, non esistono praticamente più, e di sicuro non possono essere considerati uno sbocco produttivo un mercato per il fotografo. Le agenzia di pubblicità sono marginali e spesso sostituite da uffici marketing. Non parliamo dei clienti e dell’industria. Quelli non vedono differenza tra un giovane da sfruttare e un professionista dell’immagine: tanto con le macchine fotografiche che ci sono oggi…      Che dirvi, allora? Tutti i giovani a fingersi artisti e i vecchi e paludati fotografi sotto a testa bassa a proporre corsi, o workshop, come si dice. Ah, scusate, le agenzie: dimenticavo oggi gli art director e i pictor editor leggono portfoli a pagamento, dispensando sentenze, ma brancolando nel buio e suggerendo luoghi comuni come dogmi del fallimento. Allora è tutto finito ? La risposta alla domanda iniziale non può essere che, sì, la professione, come la coscevamo, è morta. Ma nel prossimo articolo vi spiegherò il mio punto di vista, proponendo riflessioni forse un po’ meno funeree.

 

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