Ho visitato una casa abbandonata tra l’Italia e il Canton Ticino e all’improvviso, aprendo una porta, mi sono trovato di fronte una stanza d’altri tempi, una atmosfera irreale quasi da fiaba. Su uno dei due letti, pochi oggetti abbandonati a caso chi sa da chi, chi sa quanti anni fa. Una composizione perfetta.
La luce, molto soffice, entrava da una sola finestra che si affaccia su un vicolo dell’antico paese. Ho voluto fotografare questa scena, cercando di raccontarla. Non avendo nessuna fotocamera con me, ho usato per forza il mio telefono. Sulle prime ero un po’ disperato, mi maledicevo per non avere con me la mia Fujina. Poi ho reagito e ho provato a fare il miglior uso possibile del mio smartphone. La qualità non è un concetto astratto e inamovibile.
Certo non immagino Ansel Adams riprendere i paesaggi monumentali di Yosemite Park con un telefono: ogni progetto richiede un’attrezzatura specifica e lui ha fatto benissimo a usare un banco ottico e il sistema zonale. Mi sono appoggiato alla porta sgangherata per avere più stabilità possibile, ho impostato il punto di fuoco circa a metà stanzina e ho scattato una sola immagine che poi ho editato in due modi.
Sempre con lo smartphone ho usato Snapseed applicando un medio HDR per aumentare l’effetto “sogno” che è la vera motivazione dell’immagine. Non c’è nulla di cui scandalizzarsi. anch’io faccio fatica a “toccare” troppo l’immagine, ma l’effetto speciale può diventare parte del progetto, accordandosi con l’idea guida. E questo è esattamente il caso.
Il secondo editing l’ho applicato in studio senza HDR, ma bensì con la mia tecnica usuale che tende a dare maggiore leggibilità alle zone chiare. Mentre editavo in modo tradizionale, ho molto pensato a quale delle due interpretazioni sia quella più giusta per questa immagine.
Proviamo a metterla così: anche l’editing più spinto è legittimo se dà un senso al racconto. Faccio fatica a pensare che l’eccesso di HDR in un giorno di cielo tempestoso sia coerente con una foto di paesaggio. Una bella immagine è sufficiente a se stessa, vive di un proprio equilibrio e di una sua dignità. Non ha bisogno di mostrare una condizione atmosferica irreale, un cielo plateale che non hai mai visto e che umilia la realizzazione. Il limite però di tutto questo discorso è dato dalla misura e dal buon gusto dell’autore.
Dico questo perchè la tendenza a portare più in là le performance ottiche e di riproduzione cromatica delle fotocamere è sempre esistitita ed è assolutamente legittima. Lo faceva il più volte citato Ansel Adams estendendo la latitudine di posa e la gamma dei grigi con l’uso magistrale del grande formato, ampliando il gradiente con il sistema zonale. Lo facevamo tutti, con la fotografia analogica, scegliendo la giusta pellicola in relazione a una determinata situazione atmosferica, sviluppando più o meno forzatamente il negativo, A volte usavamo filtri a densità variabile che toglievano luce alla zona del cielo. Non contenti, intervenivamo in fase di stampa con magheggi manuali cercando di esporre maggiormente là dove il negativo era più denso.
Quindi non è da oggi che si usa la postproduzione. Certo si potrebbe distinguere tra le tecniche personali che si tramandano di padre in figlio o, per meglio dire, tra maestro e assistente, e l’uso automatico di un software che produce effetti speciali precucinati. Ma il nostro caso è diverso alla fonte o meglio nell’intento che lo ha generato. Qui si vuole tramandare una sensazione di magia, un attimo di irripetibile casualità. Una composizione naturale e spontanea quasi un sogno. Aggiungiamoci pure un’evidente citazione di Vincent Van Gogh.
Per tutti questi motivi, la versione telefono e Snapseed sembra tenere. Qui pubblico entrambe le versioni. Quella dello smartphone con editing Snapseed e quella proveniente dal file trattato senza effetti. A voi la scelta. Io concludo la mia riflessione ripromettendomi di non applicare in automatico i preconcetti, ma di sentirmi libero di puntare a nuovi orizzonti, creando situazioni dove è il progetto a guidare le tecniche e mai il contrario.

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